Premessa
Sto salendo il Cadore e quando arrivo a Vallesella iniziano a comparire laggiù, sul fondo della Val Talagona, gli Spalti. E’ un’attrazione che viene da dentro, irrefrenabile e positiva, quella che mi sta conducendo al cospetto di quelle guglie aguzze e ardite ma quanto mai insidiose.
Dopo la prima volta che salii il Campanile di Toro, parlai di “gioco degli Spalti”, riferendomi all’ebbrezza che si prova salendo gli arditi pinnacoli di Thor. In pochissimo spazio si hanno infinite possibilità: è un paradiso! E sento che questa volta la carica è ancora di più del solito, è alle stelle.
Mi stabilisco nei pressi del Rifugio Padova (1287 m) e il tramonto mi commuove. Decido di passare la notte in auto e partire l’indomani alle prime luci.
Relazione
Come per il Campanile di Toro, risalgo il Cadin di Toro e mi porto sui ghiaioni, oltre il limite del bosco. Tralascio il bivio che conduce a forcella Le Corde e proseguo in costa in leggera salita: so perfettamente dove salire, è tutto nella testa e questo mi dona una serenità infinita.
Nel frattempo scruto a destra la parte bassa della normale al Castello di Vedorcia su quel bel cengione mugoso, poi l’inversione con la rampa, i camini…in futuro un giretto per di là bisogna farselo.
Finalmente giungo sotto al ghiaione che divide il Castellato dalla Torre di San Lorenzo (2385 m) e risalitolo faticosamente e prevalentemente su neve alla sua dx, scarto nel colatoio a dx poco prima della sua sommità. Sopra di me le inviolate pareti della Torre strapiombano paurosamente.
Dentro al colatoio che via via si impenna, vi è ancora molta neve così decido di percorrerlo esternamente a dx su roccia. E’ quasi un anno che non tocco queste crode marce e instabili e i primi movimenti sono impacciati pur trattandosi di un II grado al massimo, ma la friabilità della roccia è sempre un’insidia e la testa ci mette un po’ ad abituarsi.
Sta di fatto che così facendo evito la forcella San Lorenzo (2240 m ca.) e raggiungo direttamente la cresta che da quest’ultima sale alla Cima di San Lorenzo (2363 m). Qui mi vado a cercare passaggi più difficili rispetto al I grado della normale (peraltro segnata con qualche ometto) e in breve raggiungo la panoramica cima.
Da qui si gode di una vista del tutto particolare su buona parte dell’Oltrepiave. Da sinistra compare in primo piano la vicina Torre di San Lorenzo e poi in lontananza il Pramaggiore con tutti i suoi satelliti, Pale Candele e Turlon, Vieres e Vacalizza, il Col Nudo, i Preti e si scorge pure microbico e defilato, il biv. Gervasutti. A destra, la Talagona veglia sull’alpinista che contempla l’infinito.
Resto qui un bel po’ perché è troppo bello per scendere e l’aria è ancora quella della mattina. Quando mi sento pronto per la Torre, torno giù in forcella e mi cambio, lasciando giù alcuni pesi.
Dalla forcella prendo una prima linea ascendente a dx e rimonto su di una cengia (I+) da cui inizia la fase maggiormente “arrampicatoria”. Le soste sono tutte presenti e tutte solide con chiodi, cordoni e maglie rapide.
Inizialmente affronto una fessurona ma poi la strada è sbarrata da un colatoio troppo difficile da affrontare slegato, così piego a sx e salgo prima su roccia e poi anche su sfasciumi per sbucare a sx della prima sosta ( II+).
Piego a sx (II) e non affronto i camini-fessure soprastanti ma aggiro le difficoltà e per rocce gradinate e sfasciumi giungo alla 2°sosta (I+). Proseguo poi tenendomi sui gradoni con sfasciumi a sx della sosta e dopo poco sono sotto al temuto muro verticale, leggermente separato dall’avancorpo dove sto salendo.
La possibilità di salire a sx per fessura, magari anche su difficoltà leggermente inferiore, non mi attira molto perché il vuoto incombe e la friabilità della roccia mi fa pensare ad una possibile caduta… Al di sopra ci sarebbero facili sfasciumi, tuttavia decido per la paretina. Questa è rappresentata da 8-10m di roccia ammanigliata, più che buona, che impegna sul III: è una goduria!
Sopra trovo una sosta sulla sx. Qui la possibilità è doppia: a sx ci si ricollega agli sfasciumi di prima per cengia esposta, andando dritti si arriva invece fino in cresta con qualche passo di II grado. Opto per la seconda.
Dalla cresta, piegando a sx in breve sono in cima dove sul libro di vetta (portato dagli irriducibili del CAI di Reggio Emilia, come sulla Cresta del Miaron) trovo le firme dei soliti e dal cuore mi sale una inaspettata commozione. Sono solo, nel silenzio irreale che solo cime come questa possono offrire.
La discesa avviene per gli sfasciumi scartati in salita e poi per la cengia esposta fino alla sosta sopra al salto di III. Con 3 corde doppie (corda da 60 m) mi riporto alla base.
E’ presto e ho ancora parecchie energie, così decido di portarmi sotto al Campanile Toro e salirlo con variante diretta d’attacco (III). La salita è sempre fantastica, questo pilastro è una vera perla incastonata nell’alto Cadin di Toro!
Dopo le doppie, la discesa avverrà nel caldo atroce del ghiaione dove uso la poca neve che trovo per ottenere un minimo di refrigerio. Per non sbagliare, giunto al Padova, mi scolo una birra da mezzo. Giornata memorabile.
Bibliografia:
Dolomiti Orientali, vol. II, A. e C. Berti
Dolomiti d’Oltrepiave, L.V.