Relazione e foto di Claudio e Francesco.
Ascesa del 24 agosto 2014.
Premessa
“ Si leva, meravigliosamente ardito, meravigliosamente bello, dritto come un obelisco, tra Forcella Le Corde e Forcella Cadin. La cima non è più ampia di un comune tavolo da salotto. Salito dall’Ovest, per quanto interessante, non è così difficile come potrebbe far supporre la vertiginosità della sua forma; l’ultimo tratto richiede attenzione.” Antonio e Camillo Berti, Dolomiti Orientali, Vol. II
Varie sono state le scampagnate durante la prolifica Estate 2014 tuttavia, solo una volta ero salito al Rif.Padova da Domegge di Cadore ma era bastata…troppo forte si stava facendo il richiamo, tutto unico, con il quale gli Spalti del Toro ti sanno ammaliare, con il loro susseguirsi infinito di guglie, i loro giochi di ombre, il silenzio dei solitari Ciadin. Coincidenza ha voluto che mi passasse per le orecchie questo fantomatico Campanile. Studiate varie relazioni, Francesco ed io decidiamo che è obbligatorio fare un salto nel Cadin de Toro per salire l’obelisco che, dal fondo, incombe ardito sulla Val Cadin.
Relazione
Saliamo che ormai è buio, la tortuosa stradina che porta al Rif. Padova. Con noi materiale per scalare, tenda e sacco a pelo…ah no, giusto, l’ ho dimenticato a Mestre, così tocca dormire con due coperte. Peccato che non ho neppure uno stuoino, la sera fa già 4 gradi e dopo un’ ora che siamo in tenda batto i denti. La sveglia fortunatamente è antelucana perché ci piace camminare mentre il sole sorge, ma non è solo questo: siamo alle prime armi, il che significa esser lenti, quindi vanno sfruttate tutte le ore di luce e, per la verità, anche mezzoretta di buio lungo il sentiero. Sono felice di alzarmi e non dover più soffrire, colazione veloce e ci incamminiamo. Complice il buio, inizialmente abbiamo subito problemi nel trovare il sentiero, direzione Forcella Segnata. Ci mettiamo sulla giusta strada e proseguiamo fino alla radura quotata 1636m, dove un cartello ci dice che siamo nel Cadin de Toro. Qui svoltiamo a destra su traccia segnata con ometti e qualche bollo. Pian piano il bosco si fa sempre più rado ed iniziamo a vedere bene le pareti a sinistra (caratteristico il foro nella roccia in alto). Camminiamo su una pietraia che progressivamente aumenta di pendenza.
La traccia in certi punti si perde ma la direzione è intuitiva, bisogna salire a destra del Campanile di Toro in uno dei peggiori ghiaioni di sempre. Poco prima della arcigna Forcella Le Corde, dove faremo una veloce capatina, notiamo l’ attacco della via normale che inizia con un bel traverso da destra a sinistra che impegna sul II. La consapevolezza del piede fermo ci induce a percorrerlo slegati, non da sottovalutare l’esposizione che man mano aumenta, non perché si stia salendo, ma perché man mano la base si allontana.
Siamo già imbragati, basta preparare le corde e affrontiamo la prima parete. Con un tiro sul II+ (max 1 p. di III, 1 ch.qualche metro sotto il passo) raggiungiamo la prima sosta. Sappiamo che di recente tutte le soste sono state attrezzate e ne abbiamo la conferma sul posto. Il secondo tiro impegna sul II e conduce su una cengia dove conviene già guardare a sinistra, dietro uno spigolo, dove è posizionata la sosta della seconda lunga corda doppia di discesa. Percorriamo la cengia a destra e senza difficoltà ci posizioniamo sotto un canale con parete appoggiata a sinistra e strapiombi a destra. Qui la sosta non è presente, la facciamo al momento con due friend ben piazzati e ,salito il canale per la parete appoggiata (II-II+), sostiamo su ghiaie molto mobili. Qui si apre la vista sulla rampa inclinata che porta giusto sotto la cima ma le nuvole cominciano a disturbarci: entriamo nella nebbia. Francesco affronta il tiro di corda (II) e sosta appena è terminata la rampa suddetta, lo raggiungo. Guardo in alto verso gli ultimi metri da percorrere e capisco il perché del termine “a spirale” della guida di Luca Visentini. Salgo una prima spaccatura (II+/III-) e poi piego in traverso a destra. Mi incasino con la corda e i mille attriti che fa. Più comodo sarebbe stato sostare appena sopra la spaccatura anche se non mi ispirava molta fiducia. In un modo o nell’ altro arriviamo sulla cima munita di campana, alla stregua di un vero campanile i cui rintocchi si propagano per i silenziosi Ciadin e rimbalzano fra le guglie aguzze degli Spalti di Toro.
Ci godiamo quei pochi minuti di estasi ma, il tempo sta peggiorando e dopo i convenevoli prepariamo le corde per calarci. La prima doppia ci deposita alla base della spaccatura. La seconda è molto lunga e con alcuni tratti anche nel vuoto, porta fino alla sosta attrezzata sulla cengia( in cima al secondo tiro). Molto stupidamente, non fidandomi della lunghezza delle corde, opto per una calata in diagonale puntando inizialmente alla sosta sulle ghiaie mobili. Poi, incoraggiato dal compagno, punto alla cengia sottostante. E’ andata bene. Mentre aspetto l’arrivo di Francesco intanto comincia a piovigginare e le cose non vanno più tanto bene perché la corda doppia in diagonale esce dal masso su cui faceva perno e il malcapitato pendola per bene. Calarsi in verticale fin dall’inizio non avrebbe guastato, due corde da 60m unite, sarebbero più che bastate. Stringiamo i denti e con altre due corde doppie arriviamo alla base con un’ altra cordata, l’unica assieme a noi nell’ intera giornata. In breve ripercorriamo la strada fatta all’ andata per scolarci l’agognata birra al rifugio Padova.
L’ ardito campanile è stato espugnato, tuttavia la nostalgia degli Spalti già ci pervade.
Bibliografia/sitografia:
– Dolomiti d’ Oltrepiave (Luca Visentini)
– http://kitalpha.altervista.org/cletoro/cletoro.html
Bei ricordi di una salita che merita, se non altro per l’incredibile slancio del Campanile.
Assolutamente! Spero di aver occasione di risalirlo…le ultime due lunghezze di corda sono entusiasmanti 🙂
-JacopoV.