Monte Lodina in notturna da Ponte Compol

Testi e foto di Matteo Basso

Questo è più un racconto in prima persona che una relazione vera e propria. Nonostante ciò, chi volesse intraprendere questa escursione (ovviamente anche di giorno) può qui reperire tutti i dettagli tecnici dell’itinerario.

Un pensiero fugace

Vengo a sapere che dei parenti vanno a Cimolais sabato sera e ritornano la mattina dopo. Mi sorge subito un’idea malsana: e se ne approfittassi per andare sul Lodina in notturna? Certo, non è una passeggiata ma il tempo ce l’ho, l’allenamento anche… Mi accorgo che è l’ultimo giorno di agosto, un mese che quest’anno è stato davvero proficuo per il sottoscritto (alpinisticamente e ravanatoriamente parlando); perché allora non chiuderlo in bellezza? Oltretutto il mese è iniziato proprio con una notturna stupenda con due amici, su una delle cime più famose delle dolomiti… Ora invece me ne vado, da solo, su una cima da “salvadis”. Il tempo è totalmente sereno. La luna ha iniziato a calare da un giorno, e sarà presente in cielo tutta la notte. Il sole sorgerà la mattina alle sei e mezzo. Ottimo: let’s go.

In cammino

Dal paese di Cimolais raggiungo in breve la località Ponte Compol, dove i miei accompagnatori mi scaricano (728 m)poco oltre si trova la sbarra per il pedaggio nei mesi estivi). La mezzanotte è passata da pochi minuti. Lascio la strada che prosegue in Val Cimoliana e imbocco la pista sterrata che si inoltra a sinistra, costeggiando il torrente. La luna piena rende giorno la notte, rendendo momentaneamente superfluo l’uso della mia torcia elettrica a mano. Camminando noto delle tende sulla sinistra; un cane, dentro una di queste sente il mio passo e mugugna qualcosa. Passo oltre senza far rumore. La strada diventa poi mulattiera e dopo un cartello segnaletico si inerpica in un rado bosco che ostacola i raggi lunari: è il momento di usare la luce artificiale. Dopo una serie di strette svolte il sentiero prosegue mantenendo la direzione nordovest. In alcuni punti intuisco vagamente l’esposizione sulla forra alla mia destra, più con l’udito che con la vista, e ciò mi sembra affascinante. Un bivio segnala la via per il bivacco Greselin, ma io proseguo dritto finché, poco dopo, occorre piegare bruscamente a sinistra. Inizia così una lunga diagonale in un bosco più fitto di prima. Non mi disturbano le radici affioranti, né qualche tratto leggermente esposto, e nemmeno qualche saliscendi. Mi ero proposto di andare piano, con molta cautela, invece la totale assenza di incertezze mi spinge avanti veloce. Arrivo ai primi prati; me ne accorgo poco prima, al rispuntare sereno della luna tra le fronde che si diradano di colpo. La salita è un poco più ripida ma sempre agevole. Oltrepasso la segnalazione per la discesa lungo il sentiero V. Lucchini (che a dire il vero punto da un po’ di tempo…) e costeggio una vasca. Un sorso d’acqua fresca del flebile rivolo è d’obbligo. Il pascolo si apre di più e con qualche orticata raggiungo la temporanea meta costituita dalla Casera Lodina (1567 m). Sono appena le due e dieci. Varrebbe già la pena rimanere a vedere l’alba da qui, senza ulteriori fatiche. Mi sento osservato da tutte le cima circostanti, perfettamente visibili; la luna fa brillare in particolar modo la maestosa Cima dei Preti. Osservo gli estesi dossi erbosi alle mie spalle; tra poco sarà tempo di valicarli ma mi rendo conto che salire subito non sarebbe una buona scelta. Dopotutto, tira un po’ di aria e non mi alletta l’idea di arrivare troppo presto in cima, aspettando così per ore, infreddolito, tutto lo svolgersi dell’aurora e del primo giorno. Prolungo la sosta in casera, attirato dal suo clima accogliente. In un piano rialzato brande e materassini, al piano terra un grande stanzone con focolare. Solo ora mi sento un po’ stupido per non avere portato delle candele… Ne accendo comunque un paio di quelle che trovo; ogni tanto esco fuori a vedere se tutto è intatto, se spunta un animale, se la luna ha mantenuto costante la sua flessione o se invece persevera a illuminare la Vacalizza. Mi decido infine a ripartire, senza togliermi il vestiario che durante l’inerzia nel frattempo avevo indossato. Sono le quattro meno un quarto. Il sentiero sale comodo ma poi inizia a confodersi tra l’erba. La torcia, nonostante il chiarore plenilunare nel prato aperto, rimane accesa. Perdo la traccia una, due volte. Comunque vedo bene, diritta davanti a me, la forcella da raggiungere. Ogni tanto indugio -vorrei comunque poter scegliere i punti migliori per salire- e ne approfitto per spiare il Lodina al buio dettato dal controluce lunare (in verità quell’elevazione si rivelerà soltanto un contrafforte); poi, poco più avanti ritrovo il marcato passaggio che mi conduce al varco (1860 m). Poco prima di questo, un cartello avvisava del bivio per le Centenere. Da Forcella Lodina il panorama si apre verso il Vajont, ancora un po’ imperscrutabile. Cazzo, è già passata un’ora dalla casera. Alle mie spalle le primissime scaglie dell’alba mi incitano a proseguire. Reperisco una traccia che da qui si dirige verso il crinale del Lodina, ma subito si mantiene sul versante ovest della montagna. Con la dovuta cautela seguo i segni di passaggio con la pila, passo in mezzo ai mughi, poi sotto una parete il passaggio diviene cengia. Guardo dubbioso il proseguo ma, facendo cadere le domande, mi lancio su una rampa erbosa piuttosto verticale. Sono sicuro che questi sono segni di passaggio, non c’è altra via da qui alla vetta. Sbuco in cresta mentre i primi chiarori si fanno ora notare oltre l’orizzonte della Val Cimoliana. Ecco, anche la cima è vicina; la crestina esile e obbligata mi ci porta in due minuti (mezz’ora da Forcella Lodina). Sono a 2020 m, su un ambiente decisamente più selvatico di quello che mi aspettavo, e sono le cinque e venti di mattina. Mi siedo su un comodo sasso piatto e inizio a nutrirmi di tutto quello che mi sta intorno. Non fa freddo, non c’è nemmeno aria. Cantano dei grilli, per il resto silenzio totale. Con simmetria, la luna arretra lasciando posto alle luci orientali e nel giro di un’ora lo spettacolo notturno volge al termine. Riprendo la marcia, conscio che per il rientro devo assolutamente sbrigarmi, dovendo essere a Ponte Compol entro le nove meno venti. Subito mi trovo un salto inaspettato da affrontare in discesa, direi quasi un II grado (con un metro di giudizio da rincoglionimento mattutino senza aver dormito), poi si prosegue piacevolmente lungo la cresta meridionale. Giro liberamente mentre si susseguono i saliscendi sui dossi erbosi, cercando visuali per la macchina fotografica, e contemporaneamente cerco la traccia di discesa. Boh, ogni volta che mi sembra di vederne una e la seguo con lo sguardo, questa scompare nell’erba poco dopo. Il primo sole nel frattempo colpisce il Duranno e il Col Nudo. Dopo un breve tentennamento e un saluto alle vedute sul brumoso lago del Vajont con la sua valle, mi butto giù con una diagonale verso sinistra. Trovo un ometto, poi un franamento pastoso di terra e ghiaino, poi un altro ometto, poi un altro franamento identico. Ormai il sole mi sta inondando e sudo come non mai ma non voglio ancora cavarmi i vestiti. Sento pure la gola arsa ma ho deciso di non fermarmi fino in casera. Le tracce si moltiplicano, mentre scendo tra ripide zolle erbose, bagnate dalla notte, e il mio piede ogni tanto affonda malamente in qualche buco celato. Mando a quel paese tutti i ripidi pendii erbosi del mondo e continuo a scendere con pazienza ma di corsa, tenendomi sempre verso sinistra. In ultimo cerco di passare in mezzo a una folta macchia di ortiche che mi arrivano al petto (pessima scelta). Meglio se le aggiro, va’. Mi congiungo finalmente con la traccia dell’andata, ormai in prossimità della casera. Sono le sette e mezzo. Mi tolgo quasi tutti i vestiti, bevo un sorso e giù a manetta. Con la luce, tornare su un percorso sconosciuto fatto all’andata col buio è fantastico. Il bosco si popola di dettagli, di rumori, di tonalità… Magari un certo punto te l’eri immaginato in un modo, e invece no: dove prima vedevi una certa sagoma, ora si è installata tutta un’altra forma. Mi fermo solo un minuto, attirato dal rimbombo di una grossa (?) frana sull’altro versante della valle, ma non capisco se sui Preti o proprio al di là del Cimoliana (sarà stato qualcosa di grosso?). Riesco a essere al parcheggio addirittura qualche minuto in anticipo, tanto che non trovo nessuno ad aspettarmi. Tanto vale farsi una meritata sigaretta e mangiarsi una brioche! Poco dopo arrivano i parenti, curiosi di constatare il mio stato psico-fisico (solo apparentemente integro…), ed è ora di tornare a casa. Per un po’ di tempo non sentirò più l’indimenticabile rumore della notte ascendendo una cima sotto la luna piena.

Tempi:    Ponte Compol-Casera Lodina: 2.00 h
              Casera Lodina-Forcella Lodina: 1.00 h
              Forcella-Monte Lodina: 0.30 h
              Esplorazione della cresta: a piacere (almeno 0.15 h)
              Ritorno dalla cresta a Ponte Compol: 2.30 h

Dislivello: 1350 m

Difficoltà: E fino in Casera Lodina, EE per la cima (sia da Forcella Lodina che dal pendio orientale; la prima è un po’ esposta)

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La luna tramonta a ponente
La luna tramonta a ponente
Il gradino che accede alla piccola vetta del Lodina; oltre il T. Cimoliana, la Vacalizza
Il gradino che accede alla piccola vetta del Lodina; oltre il T. Cimoliana, la Vacalizza
Il crinale del Monte Lodina
Il crinale del Monte Lodina
La Civetta si accende
La Civetta si accende
Il Col Nudo riceve il primo sole
Il Col Nudo riceve il primo sole
La trinità; sotto il Duranno la vetta principale del Lodina
La trinità; sotto il Duranno la vetta principale del Lodina
In 1° piano: Cima Fortezza; in 2° piano: M. Zita; in 3° piano, da sinistra: Sasso di Toanella, Sasso di Bosconero, Sfornioi, Sassolungo di Cibiana; sullo sfondo: Civetta e Pelmo
In 1° piano: Cima Fortezza; in 2° piano: M. Zita; in 3° piano, da sinistra: Sasso di Toanella, Sasso di Bosconero, Sfornioi, Sassolungo di Cibiana; sullo sfondo: Civetta e Pelmo

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Brume sopra il lago del Vajont
Brume sopra il lago del Vajont
I pendii sotto la cresta del Lodina
I pendii sotto la cresta del Lodina

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