Monte Tamaruz dal Passo di Monte Rest

 

Testi e foto di Matteo Basso

Introduzione:

Il Monte Tamaruz è una delle cime più elevate della dorsale del Chiarescons, la quale divide i territori fornesi e ampezzani dalla testata della Val Settimana e dal Canale di Meduna. Versanti ricoperti da estesissime foreste a nord e valloni impervi e quasi inaccessibili a sud rendono questa catena decisamente remota ai più. Per approciarsi a tali elevazioni sono inoltre necessari dei lunghissimi e scoraggianti avvicinamenti, il più comodo dei quali, ma solo per il settore orientale, è certamente dal Passo di Monte Rest, che permette di partire già da una certa quota. Questa stessa caratteristica però obbliga a un lunghissimo traverso in quota verso vette come la Costa di Paladin, e più ancora Tamaruz o Naiarda, e ciò rappresenta una delle più grandi peculiarità dell’itinerario proposto: a fronte di un avvicinamento interminabile, la salita vera e propria verso la cima è davvero breve e non presenta difficoltà tecniche; tuttavia è richiesta una certa esperienza escursionistica per il tipo di terreno da affrontare e un buon intuito nel reperire le deboli tracce. Gli sforzi e la probabile monotonia sono ampiamente ripagati da un panorama eccezionale. Tanto più queste montagne sono sconosciute, tanto più riescono a stupire la vista e gli altri sensi, specie man mano che ci si allontana dalle strade “trafficate” e il rumore cede gradualmente posto al silenzio, e specie verso la fine della primavera, quando le abbondanti fioriture trasformano i pascoli abbandonati in preziosi giardini.

Dati tecnici:

Passo di Monte Rest – Forca del Mugnol: 2 h
Forca del Mugnol – attacco della via: 1 h
attacco della via – Monte Tamaruz: 1 h
rientro: 3.30 h
tempo totale: 7.30 h circa

q. minima: 1060 m (Passo di Monte Rest)
q. massima: 1930 m (Monte Tamaruz)
dislivello: poco inferiore ai 1000 m
lunghezza: circa 20 km

difficoltà: EE

periodo: giugno 2015

Itinerario:

Nei pressi del Passo di Monte Rest (attenzione: valico non aperto tutto l’anno), raggiungibile dalla Val Tramontina o dalla Carnia tramite la Forca di Priuso, si imbocca la pista forestale con segnavia CAI 377 che si inoltra nella faggeta dal lato opposto al Monte Rest (parcheggio lungo la strada, cartelli). Ci si innalza con alcuni tornati, passando facoltativamente per il ricovero forestale Feletta (aperto solo un locale con camino, utile dunque solo come riparo in caso di maltempo). Dopo aver lasciato a sinistra la poco evidente deviazione per Casera Fors (scritta su un albero), si inizia un lunghissimo traverso verso ponente, sempre in falsopiano su comoda strada sterrata a tratti cementata. Questo tratto apparirà interminabile soprattutto al ritorno (via obbligata, a meno che non si voglia percorrere tutto il crinale della Costa di Paladin; percorso meritevole e panoramico, ma meglio affrontarlo con un’altra escursione ad esso dedicata), tuttavia gli scorci panoramici verso le Alpi Carniche e la sottostante isolata valle del Tagliamento ne attenuano la monotonia. Poco dopo aver doppiato un costone con una curva marcata, poco prima che la strada inizi a perdere decisamente quota, fare attenzione ad una deviazione non segnalata che si stacca sulla sinistra: è la prosecuzione del sentiero CAI, da seguire fino alla Forca del Mugnol. Si affrontano dunque alcuni saliscendi nel bosco, passando anche per zone prative più aperte. Oltrepassando un piccolo franamento si richiede maggiore prudenza ma non vi è niente di difficile. Si lascia a destra la prosecuzione verso Casera Naiarduzza (incrocio con cartelli) e si sale ancora fino alla citata Forca (1552 m). Dietro le erbe alte fa capolino il Monte Giavons, oltre la sottostante Val Viellia, ma occorre tornare pochi metri a ritroso e individuare fra le piante ingombranti il sentiero CAI 378. Si continua su questo, mantenendo il traverso in quota fino a sbucare in una vecchia zona di pascolo. Diventano ora visibili i Lastreit di Venchiareit, delle placconate lisce che rappresentano la propaggine nord orientale del Monte Tamaruz. La traccia in questo punto tende a scomparire tra l’erba ma alcuni segnavia sugli alberi e un paletto invitano ad attraversare il vallone, cercando i passaggi migliori tra il terreno ondulato senza perdere quota. Rientrati nel bosco, si prosegue con piccoli saliscendi fino a sbucare sul vallone che digrada dal Tamaruz. Ora si lascia il sentiero nei pressi di una brusca svolta che questo compie verso settentrione, mirando a salire sulla sinistra tra gli arbusti (1561 m). Intrapresa questa direttiva, avendo terminato il lunghissimo traverso e rivolti finalmente a monte, ci si tiene sulla destra, quasi a ridosso del bosco: si dovrebbe ritrovare subito una sorprendende traccia che, lottando per non scomparire inghiottita dalla vegetazione, si inoltra ripidamente in una umida vallecola. Oltrepassati poi un piccolo pendio erboso e una macchia di alberi, si giunge davanti al grande catino terminale, circondato da pareti e placconate. Si cala per qualche metro e si passa quasi in piano tra alcune doline fino alla base dell’ultimo pendio da risalire, sulla sinistra della conca ghiaiosa. Qui i segni di passaggio sono più flebili; senza perdere tempo a cercare tracce, conviene salire direttamente mirando ad una forcelletta formata dal primo risalto roccioso della cresta orientale del Tamaruz, ben visibile al centro davanti a noi; prima su un prato disseminato di mughi, poi su zolle erbose e detriti si raggiunge la cresta. Con un balzo tra i baranci si passa dalla parte opposta del crinale e si continua a destra, su per un canalino prativo tra due bande di mughi. Quando questi sembrano sbarrare la strada, basta scavalcarli sulla desta o sulla sinistra (più agevole ma più esposto). Si prosegue sulla facile cresta o poco sotto (versante carnico) dove gli arbusti lo impediscono, ed in breve si è sulla sommità (1930 m). La cima, sottile e allungata, offre un panorama grandioso che spazia dalle Dolomiti Friulane a quelle di Sesto, alle Alpi Carniche e Giulie fino al mare. Colpisce in particolare la visione del sottostante dirupato Canal Grande di Meduna, nonché la grande parete settentrionale del Frascola. Davvero curioso che il canalino che dalla cima sprofonda a meridione sia stato attrezzato con dei cavi; questa è una possibile alternativa di salita dalla Val Viellia, passando per la Forca del Bec (vedi qui).
Il rientro avviene per lo stesso itinerario e, data la lunghezza del tratto in falsopiano, non comporta riduzioni significative delle tempistiche rispetto all’andata. Si può comunque realizzare una piccola variante per la Casera Venchiareit: appena tornati sul sentiero CAI 378, si prosegue verso nord per qualche minuto fino a incrociare il 378a; imboccatolo, si arriva in breve alla casera, posta su un grande pascolo in posizione panoramica (1392 m; al momento della visita risultava aperta e con possibilità di ricovero ma in condizioni non buone). Si sfrutta poi la pista di accesso all’edificio, lasciandola poco dopo per rientrare nel bosco (attenzione: niente segnalazioni, il sentiero si stacca poco prima del tornante) e raggiungere in leggera salita il bivio incontrato in precendenza per la Forca del Mugnol. Da qua come all’andata.

La Valle del Tagliamento
La valle del Tagliamento
Le tracce si perdono nell'erba; il Tamaruz è nascosto in centro foto
Le tracce si perdono nell’erba; il Tamaruz è nascosto in centro foto
Il cadin del Tamaruz
Il cadin del Tamaruz; si mira alla forcelletta sulla sinistra
La parete nord del Frascola
La parete nord del Frascola
Imgobro di mughi in cresta
Ingombro di mughi in cresta
Verso la cima
Verso la cima
Dove osano le aquile ovvero: dove nasce il Meduna
Dove osano le aquile ovvero: dove nasce il Meduna
Un punto interrogativo sulle attrezzature del canalino a sud della cima
Un punto interrogativo sulle attrezzature nel canalino a sud della cima
In discesa sulla cresta
In discesa sulla cresta
Crode, foreste e pascoli abbandonati: la montagna friulana oggi
Crode, foreste e pascoli abbandonati: la montagna friulana oggi

2 Risposte a “Monte Tamaruz dal Passo di Monte Rest”

  1. Sapevo dell’attrezzatura del canalino Sud; è una delle porcherie che la divulgazione (mea culpa)
    di questo territorio ha attirato. Magari ci fossero solo escursionisti come te, attenti a lasciare meno tracce possibili; purtroppo abbondano gli stronzi che mettono ferri, croci, vernice per marcare il territorio come fa la volpe con la sua merda.

  2. Mah… quell’attrezzatura, oltre che totalmente precaria, la trovo inutile… Ma a chi serve? Da chi è stata messa? Più che una cosa fatta seriamente per agevolare il percorso, mi è sembrata uno scherzo!

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