Sulle creste de Las Tavuelas; un anello sopra l’alto corso dell’Arzino

Testi e foto di Matteo Basso

Premessa

Addentrarsi nella Val d’Arzino significa venire a contatto con un mondo isolato e silenzioso. Siamo lontano dalle dolomiti classiche e dalle montagne famose; questi ambienti, impervi e selvaggi nonostante la bassa quota, non attirano di certo gli escursionisti abituati a tragitti consolidati. In particolar modo questa zona del gruppo del Valcalda, che si estende sulla destra orografica del Torrente Arzino, è quasi del tutto priva di sentieristica ufficiale. Per questo motivo sono molte le idee che si possono qui sviluppare: cavalcate di cresta chilometriche, esplorazioni lungo corsi d’acqua impetuosi, anelli molto lunghi con svariati punti di partenza e destinazioni. Consultando la cartina topografica ho scelto questo anello, non aspettandomi certo di trovare una tale abbondanza di segnavia (nastri sbiaditi all’inizio, segni giallo-verdi dalla cresta in avanti, bolli rossi e poi blu in discesa nella Busa di Drea); tuttavia, dall’Agarial in poi il sentiero è inesistente, nonostante non manchino comunque numerose e anche fuorvianti tracce animali. Data la natura del terreno, l’isolamento dei luoghi e le varie incertezze, è un percorso adatto solo a escursionisti esperti con buone capacità di orientamento. Giro effettuato in solitaria in aprile 2015.

Itinerario

Risalita la Val d’Arzino, si giunge a San Francesco (vi si può arrivare anche dalla Carnia tramite Sella Chianzutan o Sella Chiampon). Si parcheggia nel borgo di Marins, presso uno spiazzo con capitello (400 m circa; comodi parcheggi segnati).
Si percorre la strada asfaltata verso nord ma quasi subito, appena termina il guardrail, si scende a sinistra lungo un viottolo tra due file di muretti. Giunti al torrente lo si guada con l’aiuto di una scivolosissima tavoletta di legno; si incrocia la strada forestale, ma la si trascura per salire direttamente la soprastante radura. Su alcuni alberi si notano dei nastri sbiaditi, ovvero i nostri temporanei segnavia. Si continua tenendosi sulla sinistra, a breve distanza da un rio; scavalcati i resti di un muretto a secco, si trova una buona traccia e la si segue verso destra in costante salita. Poco più in alto si iniziano a scorgere sui tronchi dei pini i segni che ci accompagneranno per buona parte della salita: quelli di un vasto incendio, che però non sembra aver lasciato particolari conseguenze se non la crescita disordinata di numerosissimi giovani esemplari di carpino, acero e nocciolo. Si continua lungo il costone boscoso, dove alcune incertezze della traccia vengono dipanate da qualche nastro; giunti quasi a ridosso dei burroni della Val dei Roris, è ora di piegare in diagonale verso sinistra. Si oltrepassa un ruscello ed in breve si raggiunge una forcelletta immersa nel bosco. Si continua a destra e in leggera salita si arriva alla Forchiazza (1002 m). Siamo sulla cresta che collega il M. Giaf all’Agarial, dove non è difficile individuare i segni giallo-verdi dei forestali sugli alberi, che ci accompagneranno per quasi tutto il resto dell’escursione. Si prosegue allora verso destra e, con tratti assai ripidi (occorre talvolta usare le mani per aiutarsi) ci si destreggia tra erbe ed eriche fino ad un’anticima pianeggiante con ampia visuale verso oriente e la Val d’Arzino. Passati gli ultimi faggi, da qui alla vetta del Monte Agarial è breve (1189 m). La piccola cima, completamente sgombra di vegetazione alta, offre un panorama completo su tutti i monti circostanti, nonché sulla prosecuzione del nostro itinerario. Ora si scende il ripidissimo pendio verso Nord, guidati dai tagli della vegetazione, poi si piega a sinistra per ricollegarsi alla linea di displuvio. Ritrovati i segni giallo-verdi, si cala fino ad una forcella di quota 1077 m. Non bisogna seguire i segnavia in discesa verso est, i quali conducono su discreta traccia al fondovalle, bensì si continua dritti sulla cresta. Occorre affrontare alcuni saliscendi e scavalcare un paio di elevazioni, caratterizzate da alberi e arbusti bruciati e rinsecchiti, poi si cala con attenzione ad un ultimo intaglio, prima della ripidissima ascesa finale. Per evitare il risalto successivo, troppo ripido, si scende un poco sulla sinistra, mirando a un segnavia su un tronco; subito dopo si guadagna un canalino terroso e quasi verticale, che rende benissimo l’idea di ciò che si dovrà affrontare d’ora in avanti (se si trova difficile questo tratto, meglio tornare indietro ora, magari rientrando a valle su traccia segnata che scende dalla forcella descritta poc’anzi; tuttavia è un’alternativa da verificare). Sul tratto successivo non c’è molto da dire: si affronta direttamente il faticoso pendio soprastante su tracce perlopiù animali, con i soliti segnavia giallo-verdi non sempre evidenti. Il terreno è infido e data la sua ripidità si usano spesso e volentieri le mani su erba, arbusti e affioramenti rocciosi. In alcuni casi si può optare per qualche facoltativo passaggio di arrampicata su roccia discreta. A circa tre quarti della salita ci si può tenere sulla destra, in modo da sbucare poco dopo sulla cresta Est del monte. Il panorama qui domina i gruppi del Verzegnis e del Valcalda, i selvaggi valloni del Canale di Cuna e si apre anche verso alcune vette carniche mentre a Sud, se si è fortunati, si può scorgere il luccichio del mare. Per raggiungere la ben visibile cima de Las Tavuelas si prosegue senza troppe difficoltà, ostacolati lievemente solo dalla vegetazione a tratti ingombrante; raggiunto il punto di massima elevazione (1346 m), si prosegue sulla cresta Ovest. Quasi subito si affronta un salto di pochi metri (II-, aggirabile in versante sud su terreno più malagevole). Più in basso occorre discostarsi dal crinale e compiere un traverso sul fogliame scivoloso. Passata una insellatura, con un breve ma ripido strappo si conquista anche la cima del Monte Drea, dal panorama più limitato dalla vegetazione (1278 m). Mentre una traccia continua nella stessa direzione (segni bianco-rossi, scritta TEG cioè Casera Teglara su un albero), si scende invece sul boscoso versante nord. I segni sugli alberi conducono senza possibilità di errore ai ruderi dello stavolo Busa di Drea (1076 m), posto in un ripiano presso una insellatura (alcuni abeti sono di dimensioni piuttosto ragguardevoli). Continuando in falsopiano sulla sinistra, inizia ora un tratto piuttosto complicato a causa della totale assenza di tracce; ciò di per sé non sarebbe un problema, data l’abbondanza (e addirittura l’eccesso, direi) dei segnavia, tuttavia bisogna destreggiarsi su una lettiera di faggio assai consistente e scivolosa, che obbliga a procedere con cautela nel ripido bosco. Arrivati quasi in prossimità di un rio, la traccia ricompare un pelo più marcata. Con svolte e traversi in falsopiano, si scende lungamente il costone boscoso, il quale precipita sulla sua destra in una forra; l’incertezza del percorso e la presenza di tratti non banali, nonché l’isolamento assoluto di questi luoghi, invitano a non allentare mai l’attenzione. Costeggiando infine un greto, si giunge in prossimità di una strada forestale che si segue verso destra. Con belle visuali su questo tratto del torrente Arzino e sulla sperduta frazione di Pozzis, si attraversa poco dopo un ponte che ci collega alla strada che scende da Sella Chianzutan. Sono necessari alcuni chilometri d’asfalto per ritornare in paese, dove si è parcheggiata la macchina. In alternativa, immediatamente prima del ponte, si nota un segno rosso che invita ad imboccare un sentiero; questo, lungo la destra orografica del torrente, passa per la stalla Beazut e conduce infine alla strada forestale in prossimità del guado iniziale. Personalmente, non avendo voglia di ulteriori saliscendi, ho scelto la strada facile… anche se confidare in un autostop non è cosa facile!

Note tecniche

Anello piuttosto faticoso e impegnativo. Se dal fondovalle alla cima dell’Agarial si sale con sicurezza e pendenza più o meno costante, il resto dell’escursione è costellata di incertezze e molti saliscendi, così le tempistiche diventano estremamente relative. L’orientamento in sé non è troppo problematico, data la presenza di abbondanti segnavia; tuttavia cautela e passo sicuro non possono mai venire meno.

Marins – M. Agarial: 2:30 h
M. Agarial – Las Tavuelas: 2-3.00 h
Las Tavuelas – M. Drea: 0.30-0.45 h
M. Drea – strada forestale: 1.30-2.00 h
Rientro a Marins su strada: 0.50 h

Dislivello in salita, comprensivo dei saliscendi: 1200 m circa

 

La cresta del Monte Agarial lambita dal primo sole
La cresta del Monte Agarial lambita dal primo sole
La traccia che sale verso la Forchiazza
La traccia che sale verso la Forchiazza
Arrivo alla Forchiazza
Arrivo alla Forchiazza
Dalla cresta dell'Agarial, uno sguardo verso il Piciat e il lontano Canin
Dalla cresta dell’Agarial, uno sguardo verso il Piciat e il lontano Canin
La vetta del Monte Agarial
La vetta del Monte Agarial
La cresta che conduce a Las Tavuelas
La cresta che conduce a Las Tavuelas
Alberi bruciacchiati su un'elevazione di cresta
Alberi bruciacchiati su un’elevazione di cresta
L'imponente frana del Monte Piombada
L’imponente frana del Monte Piombada
La cima de Las Tavuelas dal crinale orientale
La cima de Las Tavuelas dal crinale orientale
Sulla cresta occidentale de Las Tavuelas verso il Monte Drea (il cucuzzolo in centro a destra). Sullo sfondo, da sinistra, Cuesta Spioleit, Teglara e Burlat
Sulla cresta occidentale de Las Tavuelas verso il Monte Drea (il cucuzzolo in centro a destra). Sullo sfondo, da sinistra, Cuesta Spioleit, Teglara e Burlat
Il gruppo del Verzegnis (in basso si nota la frazioncina di Pozzis)
Las Tavuelas dal Monte Drea
Las Tavuelas dal Monte Drea
La scivolosa faggeta in discesa nella Busa di Drea
La scivolosa faggeta in discesa nella Busa di Drea
L'Arzino presso il ponte che porta alla strada asfaltata
L’Arzino presso il ponte che porta alla strada asfaltata

4 Risposte a “Sulle creste de Las Tavuelas; un anello sopra l’alto corso dell’Arzino”

  1. Complimenti per il blog, che seguo con attenzione, e per l’interessante anello. Apprezzo molto il fatto che non aderiate al trend delle “relazioni omertose” ora in voga.. Due anni fa ero salito anch’io su Las Tavuelas dalla “forcella di quota 1077 m.” Quest’ultima è raggiunta da una buona traccia segnalata dai forestali che parte dai pressi della St.la Beazut in val D’Arzino. Il “canalino terroso e quasi verticale” l’avevo trovato attrezzato. Non sapevo della possibilità della calata anche per la Busa di Drea: tra l’Arzino e il Canal di Cuna si possono davvero realizzare un sacco di anelli!

  2. Grazie dell’apprezzamento, Orma! In questo blog si tenta di dare informazioni minuziose sui percorsi perché è bello condividere la montagna, e non tenerla tutta per sé. Come ho scritto nella relazione, il mio giro è stato azzardato perché non avevo la minima idea se fosse stato possibile oppure no calarsi nella Busa di Drea. Di recente avevo realizzato un altro anello in una zona altrettanto impervia e, se la cartina -obsoleta, questo è vero- mi dava un sentiero CAI per la discesa, alla prova dei fatti la traccia era per nulla evidente, pericolosa per l’esposizione e l’instabilità, e perciò non frequentata da nessuno (ne ho avuto la conferma da un cacciatore del posto, a suo dire ero il primo che vedeva in vita sua scendere da lì!). Questo per dire che partire senza informazioni può essere pericoloso, ma anche esaltante se alla fine si riesce nell’impresa! La prossima volta che si calca questi luoghi sarebbe da collocare almeno un vasetto con qualche foglio per segnare le presenze su Las Tavuelas!

  3. Mandi fantats!

    vi faccio i miei complimenti per il sito, veramente ben curato tra relazioni e foto. Le prime diversificate a seconda dello scrivente o meglio del respirante del tutto che ci circonda. Personalmente sono profondamente sdrondenato da ogni forma di vita (animale o vegetale) o di stasi (minerale) che si fa culla d’altre vite, tela vergine su cui i millenni disegnano ciò che gli umani non potran mai fare (o meglio, lo imitano, facendola passare per contemporary art). Quindi sono attratto in particolar modo dalle condivisioni emozionali delle ascese, rifuggendo ogni tipo di “conquista” o medaglietta (alla Muttley) da attaccarsi addosso. M’innamoro facilmente d’ogni traccia cai-less anche se spesso, tempo, distanze e difficoltà obbligano a seguir binari bicolori. Nel Landre credo ci sia un pò di tutto e questo mi attira. Come una mescola d’invidia (positiva) e gioia che mi percorre pensando ad una gioventù che rifugge da omologazione e bisogni indotti per fuggire per creste (e non è poco in un mondo creato per pollici opponibili e orgie di app). Per giunta con capacità tecniche notevoli e ben lontane dal mio ardire. Bravs! Vi auguro solo di continuare a cercar voi stessi per monti tenendo presente che l’importante non è la salita, l’impresa, la foto sulla cima o il raggiungere un obbiettivo, ma il viaggio stesso. Come ridimensionamento personale, risveglio di coscienza, senso d’appartenenza anti-antropocetrica ed anti-specista, sussurro di poesia, fomentator di sorrisi! Une strente fuarte, sperant di cjatasi tai trois da vite!

    askatasuna,
    il non da libertât, par basc.

  4. Ciao askatasuna!

    Innanzitutto ti ringrazio per i complimenti! Fanno sempre bene e tengono alto il morale. Ricordo di aver letto alcuni dei racconti delle tue uscite su Sentieri Natura, sempre interessanti e carichi di passione per la Natura. Questo ci accomuna sicuramente: all’interno del Landre tutti siamo innamorati dell’ambiente alpino, ognuno a modo proprio s’intende, proprio perchè ultimo baluardo di una natura primordiale e spesso vergine. L’andare per monti per noi non è solo alpinismo e naturalismo, ma anche passione e amicizia. Le fatiche volutamente ricercate così come certe esperienze anche difficili, e i momenti di gioia condivisi creano dei rapporti importanti, diversi da quelli che si possono generare in un contesto di socialità ordinaria. Sono il risultato di una “scrematura” che fa la differenza. Questo blog, del resto, è solo il risultato di ciò che è nato tra di noi, ed è bello vedere che questo aspetto traspaia dai nostri racconti! Per noi andare in montagna vuol dire vita, prima che sport o alpinismo.

    Prima o poi, su qualche montagna del nostro amato Friuli, magari ci incontreremo.
    Buona montagna, mandi!

    Jacopo.

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