Una raminga intuizione fra i monti naviganti

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Un nesso, un ponte, un segmento di unione fra due polarità opposte. Fra le rocce è possibile percepire l’odore del mare, imprigionato da millenni e pronto ad essere liberato quando meno te l’aspetti.

Sccch… sccch… sccch,

le onde del mare rumoreggiano rinfrante sulla scogliera e la brezza trasporta quel classico profumo che si leva dagli scogli nelle giornate invernali. Se mi guardo attorno mi pare di vedere i gabbiani che planano verso l’acqua e le mani sono piene di un’infinità di minuscoli granelli di sabbia.

Per un attimo il cervello, confuso dai sensi, vorrebbe trasportarci al livello zero; invece ci ritroviamo in sosta sulla grande parete costellata di macchie bianche, imponente, a picco sul Cadore. A lungo è stata sognata e adesso siamo nel suo grande ventre.

Ma perché questo profumo? Perché queste sensazioni? E’ come se l’ambiente dove siamo immersi, pur apparendo congelato nel silenzio arcaico delle ere geologiche, volesse parlarci e farci capire che pulsa ancora, che vive!

All’istante, assieme ad un brivido, mi appare chiara e nitida la relatività del concetto di tempo e di spazio. Su questi “monti naviganti”, come li ha definiti Paolo Rumiz, intuisco il perché più profondo della geologia insegnata a scuola, gioisco e sorrido al pensiero della grandezza d’animo dell’uomo a discapito della sua infinita fragilità esteriore.

Per esprimere questa grandezza anche in montagna e sulle pareti, l’uomo ha avuto bisogno di una buona dose di libertà ed è bello tornare in questi luoghi per scoprire le meravigliose fortezze della natura e riscoprire ciò che qualcuno ha compiuto prima di noi.  E così, quando nel mezzo di una parete scorgo un chiodo battuto col sangue, sogno ad occhi aperti e quando lontano, lì sul crinale, un ometto di pietre si staglia contro il cielo, indicando la “giusta” via, allora mi emoziono nel profondo del cuore.

Sono lì appeso che cerco di schivare i sassi che mi piovono dall’alto: Andrea lì sopra non se la sta passando tanto bene. E’ in questo momento che un pensiero irrompe prepotente nella mia testa: che sia necessario avere il coraggio di sbagliare per guadagnarsi un briciolo di libertà? Per dirla in altri termini: avere il coraggio di sapersi perdere può risultare la chiave per aprire le porte della libertà? In fondo “errare” non esprime proprio questa ambivalenza ovvero viaggiare raminghi senza meta accettando serenamente l’errore?

Così quando dall’alto una voce grida: “Molla tutto, ho trovato un chiodo, siamo sulla via giusta!”, riparto rinfrancato. Tutti i timori sono accantonati e la via verso la cima è un’estasi continua e una costante esaltazione. Più in alto infatti, saremo incerti sulla linea di salita, tuttavia l’animo rimarrà sereno poichè oramai vi è la certezza che solamente “errando” sia possibile “scoprire” e “riscoprire”, trovando la libertà.

9/08/2016. Cadorin – Scandolin alla Croda Bianca, Marmarole.

 

– Relazione tecnica e foto: http://landredaisalvadis.altervista.org/cadorin-scandolin-nel-ventre-della-croda-bianca-2841m/

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