Dome de Tsan, parete Nord (3351m) – Nel cuore del gigante assopito

Salita del 28 maggio 2017, con Nicholas.

Introduzione
E’ fine luglio, stiamo attraversando la Val Cornier per salire  salire il Dome De Tsan dalla sua parete Nord. Nicholas ha già provato a salirlo qualche tempo fa ma si è fermato alla base della terminale; da quella volta non smette di propormi questa salita. Sono appena finiti gli esami e siamo al culmine di una stagione alpinistica, senza precedenti su ghiaccio e pareti Nord.
Percorrendo il sentiero non riesco a ignorare questa parete che mi soggioga in modo innaturale: le immense crepacciate danno un senso di vertigine assurdo, una sensazione che non provavo da tempo. Quella sensazione che si prova quando la percezione della superiorità degli elementi scuote anima e sensi.
Quando ci si sente intimoriti dall’immensità della natura.
Sono in un periodo di estrema debolezza “emotiva” e al posto della voglia di andare a scoprire cosa si nasconde in questo angolo di mondo sento solo paura, inerme di fronte a questo gigante.
Fortunatamente comincia a diluviare, cosa che ci fa desistere dal tentativo al Dome e deviare alla conca del rifugio Perucca-Vuillermoz, per dormire al bivacco Manenti, un piccolo e stupendo balconcino che dà sul Lago di Cignana.
La pioggia, insistente, entra dal collo e bagna la schiena; porta un freddo intenso che fa dimenticare il senso di debolezza e obbliga a concentrarsi per non soffrire. Ci sarà un altro momento in cui sarò pronto per scoprire ciò che riserva il Dome…

Uno scatto di fine luglio 2016. Il primo giorno in cui l’ho vista, questa parete mi ha subito trasmesso timore

Descrizione della salita
Lasciamo la macchina alla Diga di Place Moulin, Valpelline (1980m), sono le 4 e mezza di mattina. Speriamo di salire il Dome dalla Nord, dormire al bivacco Reboulaz e provare lunedì la Luseney. Progetto ambizioso, gli zaini pesano molto più del previsto, ma proviamoci!
Per l’ennesima volta affrontiamo la lunga e noiosa strada pianeggiante che porta al rifugio Prayer (2005m, 50 min). Ivi giunti deviamo a destra per a Val Cornier. Giungiamo in vista del Dome: la Nord è più innevata rispetto a luglio dell’anno scorso, i crepacci abbastanza chiusi. Si può provare!
Le sensazioni sono simili all’ultima volta che la vidi, ma questa volta squadro la parete e in automatico nel cervello seleziono i punti dove passare, aggirare i crepacci: la paura lascia il posto al desiderio di scoperta.
Giungiamo alla base della parete, è ora di ramponi e picche e, notizia inedita in cordata con Nicholas, si usa anche la corda!
Cominciamo a salire sulla destra delle bastionate alla base, coperte di ghiaccio, aggirandole. Al terrazzo soprastante decidiamo di salire dritti per dritti passando per i seracchi. Così facendo evitiamo di attraversare i ponti sui grossi crepacci che attraversano la parete a questa altezza: la neve non è ancora ben trasformata. In corrispondenza di una prima sezione di ghiaccio (45°) passiamo accanto all’immenso seracco visibile già dal sentiero: un’incredibile composizione di forme contorte, compresse, complesse linee di ghiaccio che sembrano appartenere a un quadro di corrente impressionista. Passare tanto vicini a questa forma imponente fa nascere una sensazione mista di timore e commozione, mi guardo attorno; sotto di me il vuoto, l’ambiente è immenso e non c’è anima viva. Un sentimento di pura gioia mi fa rabbrividire, attraversando la shiena, schioccando quando raggiunge la testa.
Sembra di salire qualcosa di vivo.
Una seconda sezione di ghiaccio, questa volta più lunga e bella  (50°) permette a Nicholas di testare i nuovi chiodi da ghiaccio. Superata, la parete si appoggia un po’ e studiamo ciò che ci attende: invece di passare a destra attraversando la terminale ormai in battuta di sole, decidiamo di tagliare a sinistra e poi a zig zag per roccette e cenge raggiungendo la parte superiore della Nord. La cosa si riserva più insidiosa del previsto, ma dopo qualche passo scomodo su neve molto sfondosa e un traverso bello ma delicato riprendiamo la neve, qui migliore. Attraversiamo in diagonale a destra e prendiamo l’ultimo tratto della parete (50-55°), uno scivolo di neve in condizioni perfette: la picca entra come il burro, dando sicurezza; la progressione è idilliaca, la fatica è piacevole, coordinata con i familiari movimenti alternati rampone/picca in quel modo meccanico che ci si può permettere solo quando le condizioni sono al top: stare bene!
Giungiamo stanchi ma esaltati alla cupola sommitale del Dome de Tsan. Qui le sue tre cime formano una cresta che sovrasta il ghiacciaio alla sommità di questa meravigliosa montagna.
Attraversiamo per cresta e giungiamo a quella che sembra la cima prinipale. E’ tardi, ormai mezzogiorno e mezzo. Siamo troppo stanchi per godere del momento e vogliamo toglierci il prima possibile da questi ghiacciai, ripartiamo immediatamente. Scendiamo in direzione del Col Chavacour fermandoci appena sotto il ghiacciaio in vetta al Dome.
Qui mangiamo qualcosa e ci riposiamo qualche minuto. Siamo entrambi a pezzi, gli zaini hanno contribuito pesantemente. Pensare di attraversare fino al bivacco su questa neve per provare l’indomani la Luseney, vista l’ora e il meteo (il sole sta scomparendo dietro inquietanti nuvoloni neri) diventa ora un’opzione che preferiamo evitare.
Decidiamo quindi di scendere dalla normale, attraversando il ghiacciaio di Chavacour. L’ambiente è vastissimo, immense distese di neve ci circondano facendoci sentire piccolissimi e distanti da qualsiasi forma di civiltà. Ambienti che ho vissuto solo in queste zone della Valle d’Aosta, paragonabili al Bianco come immensità, con la differenza che non c’è traccia di essere umano. Si vivono emozioni uniche, indescrivibili.
La discesa è comoda su buona neve, veloce, piacevole. Distende i sensi già appagati dalla lunga e stupenda salita. Sarebbe perfetta da sciare, per chi può farlo…
Giungiamo in Val Cornier, osserviamo la parete appena salita, soddisfatti, mentre comincia a piovere a goccioloni. Mai una volta che si riesca a non prendere pioggia qua! Riprendiamo il sentiero, ci aspettano ancora un paio d’ore per giungere alla macchina e la stanchezza non aiuta, soprattutto ora che cala la tensione…

Una salita che unisce difficoltà tecniche non eccessive ma continue e varie, dovendo porre attezione alle difficoltà oggettive e tenendo in conto la lunghezza dell’itinerario. La scarsa antropizzazione e presenza umana in queste zone, unita alla quota e all’ambiente, che nulla ha da invidare ad altri posti ben più famosi e conosciuti, rendono questa ascensione davvero unica e meravigliosa; ci si deve inventare, mettere un po’ in gioco per trovare il tracciato migliore, mai scontato.
Grazie a Nicholas che ha tirato per gran parte dell’avventura e ha tanto insistito,a ragione.

Note tecniche
A seconda del periodo le condizioni possono variare molto. Noi le abbiamo trovate in buono stato, anche se un po’ premature. Mezza da 60, un paio di chiodi da ghiaccio per sicurezza possono tornare utili.
Ramponi e preferibilmente due picche da ghiaccio. Per il resto, normale dotazione alpinistica.
Temperature già al limite.

Si parte!
Alba sulle Grandes Murailles
Eccolo là il Dome. Ci sta aspettando
Avvicinandosi a questa forma è impossibile non sentirsi minuti
Il primo scivolo, a fianco dell’immenso seracco
Il secondo scivolo, su ghiaccio stupendo (50-55°)
Sfruttiamo una cengia nevosa per aggirare la terminale
Traverso su roccette
Superato l’ultimo tratto su cui potevamo aspettarci imprevisti proseguiamo lesti verso la cima
La terminale, scrupolosamente evitata
Blaaaahhh
Il tratto finale prima di uscire in vetta. Neve in condizioni perfette, consistenza “burro” per le picche. Divertente e godurioso
Bianco e nero. Le nuvole cominciano a invadere il ghicciaio sulla cima del Dome
L’ultima cresta nevosa che porta alla vetta
Spazi immensi, il silenzio è assoluto
Scendendo lungo la normale.
Da sinistra a destra Col Chavacour (2957m), Monte Redessau (3253m), Ghiacciao di Chavacour. Tutto a destra il Monte Arpetta (3235m)
Su spazi immensi, appena sotto il ghiacciaio in cima al Dome

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