Gran Paradiso 4061m – dal Ghiacciaio di Laveciau

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La parete NO del Gran Paradiso e il Ghiacciaio di Laveciau dalla tenda
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Ultime luci sulla parete NO

Salita del 30 Giugno e 1 Luglio 2015

Relazione di Claudio Betetto, foto di Claudio e Francesco Lazari

Culo dolente e caldo abnorme: sono queste le due cose che penso appena esco dalla amata C2 in Valsavarenche all’ imbocco del sentiero che porta al Rif. Chabod.  In realtà l’ attenzione è anche attratta da i numerosi picchi innevati che contornano la vallee a cui noi, ragazzi dolomitici, non siamo abituati. Dopo una pasta in parcheggio (1834m) Francesco ed io siamo gasati a mille e pronti per salire al rif. Chabod  (2750m).

Imbocchiamo l’ ampio sentiero abbastanza disorientati ma non a causa della traccia, piuttosto per l’ ambiente che non conosciamo minimamente: è la nostra prima volta sulle Alpi Occidentali e pure su ghiacciaio! Un po’ di tensione, seppur velata, c’ è ma è mascherata dalla gran voglia di salire e macinare strada.

Inizialmente saliamo nel ripido bosco di larici, poi quando il sentiero spiana incontriamo il Casotto P.N.G.P. Alp. De Lavassey (2194m). Questo è una sorta di casera situata in una stupenda radura. Siamo assetati e qui c’ è una fonte gelida alla quale ci dissetiamo. Proseguiamo poi sul sentiero di destra e ringraziamo gli alberi, finchè sono presenti, poi ci immergiamo in un vero forno. La salita continua per prati d’ alta quota e in mezzo a torrenti finchè si rimonta un pendio sulla sinistra e si arriva al rifugio Chabod che appare più come un mega albergo ed il bivacco invernale, a pochi metri, come dimensioni è l’ equivalente dell’ amato rif. Pordenone. Noi però siamo muniti di tenda che decidiamo di piantare 50m sopra il rifugio, su un piccolo pianoro con vista sul ghiacciaio da un lato e su tutta la catena del versante opposto dall’ altro: difficile che non fosse così, questa valle è ampissima e lo sguardo spazia ovunque senza problemi. Questa è una caratteristica propria delle Alpi Occidentali che in tanti mi avevano detto: le dimensioni non sono paragonabili a  quelle delle Dolomiti, a partire dalla cartina che è 1:50000 invece del consueto 25000 della Tabacco.

Il Sole non accenna a tramontare e noi aspettiamo, ammaliati dalla parete NO. Ormai siamo quasi sicuri che non andremo su quest’ ultima anche se per qualche ora ne siamo stati tentati, faremo la normale lungo il Ghiacciaio di Laveciau.

Finalmente alle 21:20 passate il sole tramonta e prepariamo la cena. Ci sentiamo benissimo, l’ unica preoccupazione è il caldo, così decidiamo di svegliarci prima dell’ orario canonico per salire alla cima facendo un pezzo di ghiacciaio al buio in modo da evitare anche la “massa”. Andiamo a letto contenti. A pochi minuti dalle 3 suona la sveglia, esco dalla tenda aspettandomi un freddo glaciale, invece scopro che una giacca leggera è più che sufficiente: non promette certo bene!! Colazione veloce e scendiamo al bivacco invernale, da qui prendiamo la traccia evidente che porta al Ghiacciaio di Laveciau. E’ bello camminare a quest’ ora, nella calma. Siamo solo preceduti da due ragazzi che andranno sulla Nord-Ovest. Ho modo di realizzare la grandezza di questo ghiacciaio, il sentiero ne risale la morena: è immensa!

Superiamo un po’ di neve e poi arriviamo al vero ghiacciaio, breve sosta per ramponarci ed estrarre tutto l’ armamentario e si parte!! Iniziamo traversando in diagonale a dx per giungere sotto alle fauci della seraccata centrale, poi viriamo a sx per superare la prima pendenza del ghiacciaio e giungere alla seconda parte di esso. Ogni volta che mi giro è uno spettacolo immenso con la luce del Sole che si fa strada fra le tenebre. E’ uno spettacolo  pure il primo attraversamento di un crepaccio con passo nel vuoto!  Il crepaccio è nero e non se ne vede il fondo, emette un’ alito glaciale tale da congelare il sangue nelle vene, scappiamo velocemente. Pian piano che guadagniamo quota, la pendenza si fa anche più consistente però i crepacci scompaiono o comunque sono ben coperti tanto che estraiamo i bastoncini. Alla prima pausa ci accorgiamo che manca qualcosa…la cioccolata!!! Per sopperire alla mancanza ci ingozziamo di frutta secca visto che ne possediamo un sacchetto intero.

La traccia ad un certo punto scarta a destra per montare ad una forcella (da quelle parti chiamata “colle”) quotata 3536m che raggiungiamo parecchio provati. Qui c’è la confluenza con il sentiero che sale dal Vittorio Emanuele II. Non possiamo fare a meno di continuare ad ammirare con timore un seracco immenso che, sospeso sul ghiacciaio, minaccia di cadere da un momento all’ altro. Proseguiamo per la traccia con la cima ben visibile a sx col suo castelletto roccioso finale. La pendenza incrementa e i ramponi grippano bene sul ghiaccio. Un ultimo sforzo nel superare la crepaccia finale e siamo sotto la cima. I passaggini più delicati su misto vengono adesso ma ce la sbrighiamo in breve legandoci sul famigerato traverso esposto essendo presenti due spit all’ inizio e alla fine (p. di II). Siamo felici ed esultiamo. Con noi sono arrivati anche altri due Mestrini a cui scattiamo una foto…poi mi  accorgo di una sagoma prorompente a Est…il Cervino!! E già nella testa si ammassano mille idee su una futura “spedizione” lì…

Ci voltiamo e con dispiacere vediamo la “massa” che sta salendo in fila lungo il sentiero. Sgomberiamo giusto in tempo per ricevere qualche spintone proprio sul passaggio esposto e poi iniziamo la discesa. Abituati alla calma delle Dolomiti Friulane, ci resta un po’ di amaro in bocca per quanto commerciale sia diventata questa cima che in prima battuta ho pensato anche noi avessimo contribuito a renderla tale ma poi ho riflettuto su un aspetto, secondo me importantissimo. Noi siamo saliti in due, senza guida, digiuni di ghiacciaio ma prendendo tutte le precauzione del caso, esercitandoci sui nodi e sulla progressione precedentemente; siamo partiti prima dell’orario consueto anche perché consapevoli delle tempistiche, per noi dilatate in quanto “novellini” su questi terreni e abbiamo dormito in tenda. Per noi è stata un’ avventura nuova, una sorta di spedizione alpinistica condotta in completa autonomia. Ecco autonomia!! E’ questo il punto fondamentale! E mentre scendiamo veloci, incrociando i volti sfatti che pedissequamente seguono il capocordata,  parliamo di come in futuro il nostro stile sarà quello alpino, volto soprattutto alla completa autonomia.

Le difficoltà maggiori le incontriamo quando ci imbattiamo nella seraccata, la neve ha mollato e bisogna prestare moltissima attenzione. Effettivamente è consigliabile, in quanto a sicurezza, la discesa lungo il ghiacciaio del Gran Paradiso (assenza di crepacci) fino al Rif. Vittorio Emanuele.

Usciti dalle enormi e instabili masse glaciali, tiriamo un sospiro di sollievo e ci togliamo i vari ammenicoli. In breve saremo di nuovo allo Chabod per sbaraccare e scolarci una birra da mezzo per festeggiare.  Poi con gli zaini carichi, torniamo a valle pensando solo a farci un bagno refrigerante nel torrente Savara e ad arrivare in tempo a Cogne per fare la spesa per i giorni seguenti: la meta è infatti il più selvaggio e solitario Bivacco Malvezzi in Valleille con le sue cime dimenticate.

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Verso il fondo della Valsavarenche dal sentiero che sale al rif. Chabod
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La fonte della salvezza
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Rifugio Chabod?? No, bivacco invernale!!
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Qui abbondano i licheni
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Camera con vista
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Il primo crepaccio lungo il ghiacciaio
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Ogni volta girarsi è uno spettacolo
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Verso la Valle d’ Aosta, quello è il Bianco.
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Prima della seraccata centrale
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Attraverso la seraccata
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In vista della cima, ma manca ancora parecchio
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Nella parte alta, dopo la confluenza con il sentiero che sale dal Vittorio Emmanuele
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Dal castelletto finale verso la traccia appena percorsa
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Il passo finale esposto (visto dalla parte della cima)
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In cima, peccato l’ inquadratura, non si riusciva a fare di meglio
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Verso la pianura immersa nel calore
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Panorama con una piramide che svetta…
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Il Cervino!!
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In discesa lungo la comoda traccia
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Visione della seraccata centrale da sotto
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La neve ha mollato del tutto, fortuna che siamo in discesa sennò camminare sarebbe ancor più un’ agonia.

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