Anello del Monte Venchiar – Esplorando la Val di Cuna

Relazione e foto di Jacopo Verardo.

Introduzione

Questa uscita rappresenta, a mio avviso, un altro mattone fondamentale alla costruzione di questo nostro gruppetto di svalvolati per vari motivi più o meno ovvi di cui ho già parlato nel post del Monte Duranno e che non sto qui a ripetere, ma che voglio sintetizzare così: quando alla fine di una giornata in montagna ti ritrovi a tornare a casa con il sorriso stampato in faccia, vuol dire che tutto ciò che è accaduto e tutto ciò che hai visto e assaporato ti ha soddisfatto pienamente. Quella sera tutti e quattro avevamo questa sensazione! Partiamo dal principio. Verso fine dicembre 2013 Matteo (il Maestro) De Piccoli propone a me e a Francesco (il Pola) di fare un’escursione con Matteo Basso, che fino ad allora conoscevamo solo per le sue eccelse relazioni scritte per SentieriNatura; quest’ultimo propone l’anello del Monte Venchiar (o del Monte Giaf che dir si volgia), già percorso dai miei genitori più di vent’anni fa. Noi accettiamo di buon grado ben sapendo, dai racconti dei miei, che ci aspetterà una certa dose di avventura!

Questo anello si svolge nel cuore della meravigliosa e selvaggia Val d’Arzino (Prealpi Carniche), impreziosita per l’appunto dal suo spettacolare torrente, l’Arzino. Il suo principale affluente è il Torrente Comugna che scorre profondamente nell’ancor più selvaggia Val di Cuna, nella quale si svolge la prima parte del nostro itinerario. Quest’ultima valle fino al secondo dopoguerra era estremamente popolosa; numerose erano le borgate e i paesini presenti, ora caduti in totale rovina e fagocitati dalla natura, basti pensare a San Vincenzo e a Piedigiàf. Inoltre questa valle era fondamentale per la rete di comunicazione essendo a quel tempo il collegamento più breve e diretto tra la Val d’Arzino e la Val Tramontina. La larga mulattiera che fungeva da strada comunale saliva dal paese San Francesco a Sella Giàf, scendeva a Piedigiàf e proseguiva fino a Tramonti di Mezzo salendo prima al paesino di San Vincenzo (detto Pascalon) e a Forchia Zuviel. Tuttavia esisteva un collegamento più lineare per chi giungeva da sud a San Francesco, ovvero imboccare il Canal di Cuna già dalla sua confluenza con l’Arzino e percorrere un sentiero scavato dall’uomo a picco sul Comugna, che negli anni venne segnato dal CAI (n 810) per poi venire dismesso anni fa a causa di alcuni tratti delicati. Noi andremo a percorrerlo.

Relazione

Risalita la Val d’Arzino e giunti a San Francesco, lasciamo l’auto poco oltre il ponte della strada che porta a Giallinars, ovvero dove giungeremo al ritorno. Quindi proseguiamo a piedi lungo la strada asfaltata che oltrepassa infine le case di Valentinis; quando essa svolta per riattraversare il torrente Arzino, noi proseguiamo dritti su una strada sterrata che in poco ci condurrà ad un piazzale con un tunnel (chiuso! di accesso ad una briglia idroelettrica posta a metà Canal di Cuna). Qui risaliamo il bosco poco sopra l’imbocco del tunnel, fino a ritrovare la traccia dell’ex-sentiero CAI e i vecchi e sbiaditi segni. Il sentiero appare facile da seguire, un poco infestato dalla vegetazione com’è normale che sia, vista la scarsa frequentazione e l’abbandono, ma sicuramente ancora non esposto. La giornata è calda e afosa, nonostante le nuvole coprano il Sole; tuttavia, vista la stagione invernale, questo ci agevola evitando possibili fastidi tipo ghiaccio e neve.

Proseguiamo e dopo alcuni saliscendi si incomincia a gustare la presenza del verde-turchese Comugna che tranquillo scorre una decina di metri sotto i nostri piedi. Anche il sentierino inizia ad essere più sottile ed esposto, ma sempre ben evidente, fino a scendere in uno slargo della forra. Da qui prosegue recuperando un po’ di quota e portando nuovamente in esposizione; quindi si giunge ad una breve cornice di 3 metri (viscida, marcia e con pochissimi appigli, se non fosse per un provvidenziale alberello sbandato che ne facilita il passaggio – I grado inferiore) che in discesa conduce su un ulteriore slargo molto suggestivo nel quale facciamo una breve sosta ristoratrice (salame, prosciutto e un sorso di tocai come aperitivo!).

Proseguiamo riguadagnando una costante ventina di metri di altezza sul torrente lungo la traccia che, sempre in saliscendi, attraversa qualche rugo laterale fino a sbucare in prossimità della briglia idroelettrica di cui parlavo prima. Improvvisamente vediamo un centinaio di metri innanzi a noi un uomo vestito d’arancione che cammina sulla briglia; ci blocchiamo di scatto e le nostre menti iniziano a favoleggiare su chi possa essere costui. Del resto cosa ci potrebbe fare un altro bipede umano in quel luogo così angusto e recondito? Dopo qualche istante di esitazione capiamo che si tratta di un funzionario dell’Enel che sta controllando la funzionalità della briglia dopo le ingenti piogge autunnali; così capiamo anche l’utilità del tunnel incontrato due ore prima. Certo che sarebbe interessante percorrere quel tunnel pedonale! Così incuriositi scendiamo a vedere la briglia, mentre l’uomo scompare misteriosamente nel tunnel chiuso da un cancello. Risaliamo verso la traccia e, dopo qualche minuto di ricerca (in questo tratto è molto inerbita), la ritroviamo; si prosegue così passando lungo una bella cengia erbosa dotata di uno spettacolare tetto roccioso, che conduce ai piedi di una notevole cascata, alla cui base sono presenti una targa e una croce commemorativa. Questo ci preavvisa che il tratto più pericoloso è alle porte: si tratta di un attraversamento ascendente, molto esposto, di un ripido pendio estremamente franoso (150m). Sono presenti i resti di vecchi cavi metallici di dubbia tenuta, su cui, solo in parte, ci si può affidare a mò di scorrimano. Superato questo tratto si prosegue su una costola erbosa abbastanza esposta, ma piacevole, che via via si riduce a delle esili cengette esposte ma mai difficili. Sotto di noi il Comugna fa ora le bizze tra insenature e marmitte e noi non possiamo far altro che ammirare la potenza dell’acqua! Si perviene quindi ad un pulpito dal quale, incuriositi, addocchiamo il Canal di Cuna che stiamo tanto apprezzando. Il tratto successivo è molto bello: si risale un primo canale in cui è ancora presente una scalinata in pietra; poco dopo si risale un secondo canalino più impegnativo, agevolato da qualche vecchia staffa in ferro e qualche gradone ricavato dalla roccia. Dopo un saliscendi il sentierino, per evitare dei salti rocciosi, porta ad affrontare una ripida salita di circa 100m di dislivello, e una successiva discesa di circa il doppio che ci deposita sul greto del Comugna. L’ultimo tratto della discesa è molto ripido e richiede attenzione: è estremamente bagnato e viscido; l’unico aiuto è dato da qualche vecchio gradino scalpellato sulla roccia. Il breve tratto che ci porta a Piedigiàf è spettacolare: a causa delle forti piogge autunnali il Comugna è colmo d’acqua, quindi per progredire lungo il sentiero (che corre lungo il fondo del torrente) dobbiamo saltare tra grossi massi ed effettuare qualche breve traverso su roccia, che ci diverte come fossimo bambini! Ora il Comugna svolta decisamente a sinistra (ovest); l’ultimo attraversamento, sul Rio Plan di Rep che scorre ora davanti a noi, sarebbe fattibile solo a nuoto, quindi risaliamo il versante alla nostra destra e facilmente giungiamo finalmente ai ruderi di Piedigiàf (487m). Qui ci fermiamo a mangiare un boccone visto che sono quasi le 13.30 (5 ore dalla partenza); ce la siamo presa con calma! La parte ravanatoria della giornata è conclusa e siamo contenti, ma è tardi e dobbiamo sbrigarci.

Ripartiamo rapidi verso Sella Giaf, lungo la comoda mulattiera segnata CAI (n810a), alla quale, dopo aver attraversato una magnifica faggeta, giungiamo in poco più di un’ora; qui visitiamo la bella Casera Giaf (960m), ottimamente ristrutturata da volontari di San Francesco e aperta a chiunque voglia bivaccarci. Visto che abbiamo ancora un paio d’ore di luce decidiamo di salire in cima al Monte Giaf (1085m), più alto e vicino rispetto al M. Venchiar (attorno al quale si svolge il giro…da qui il nome dell’anello). Nella boscosa e poco panoramica cima ci rifocilliamo e brindiamo alla bella ravanata con grappe fatte in casa e merlot di cantina! Infine in un’oretta scendiamo a San Francesco lungo la strada sterrata che sale dal paese a Sella Giaf, gustandoci prima un infuocato tramonto, poi, lungo la strada, il silenzioso buio che inesorabilmente ci avvolge. Ormai siamo sul comodo e nulla ci preoccupa; spensierati scendiamo scherzando nell’imbrunire silenzioso di queste selvatiche e magiche valli.

Note conclusive

Bellissimo e selvaggio anello che consiglio di fare in tardo autunno. Dislivello di circa 960m; ore impiegate con le abbondanti soste: circa 8. Il lungo tratto dell’ex-sentiero 810 è per soli escursionisti esperti e allenati nel rintracciare la traccia. Le difficoltà infatti risiedono nel riconoscimento del sentiero, nell’allenamento in terreni impervi e nell’esposizione costante.

27 dicembre 2013.

Bibliografia: Roberto Mazzilis, Per sentieri selvaggi.

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Il meraviglioso Torrente Comugna.
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Cornice discendente: la prima “difficoltà”.
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Nei pressi del secondo slargo.
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Lungo la bella cengia erbosa.
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La “notevole cascata”.
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Targa e croce nei pressi della cascata.
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Il delicato tratto franoso…guai a scivolare!
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Il cengione erboso dopo il passaggio delicato.
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Selvaggio e affascinante il Comugna!
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Esili passaggi esposti, frequenti lungo questo tratto.
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La scalinata in pietra nel primo canale.
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Il secondo canalino con staffe di ferro.
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Il tratto viscido nell’ultima discesa.
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Pozze dell’ultimo tratto molto bello.
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Brevi traversi su roccia quasi giunti a Piedigiàf.
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I ruderi di una casa di Piedigiàf.
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Il ponte in rovina a Piedigiàf.
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Da Sella Giaf verso Monti Sciara Grande, Cuesta Spioleit, Teglara e Burlat.
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Dalla Sella Giaf verso Monti Raut, Dosaip, Caserine Basse e Alte e Frascola.
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Monte Piombada (caratteristica l’imponente frana) e Monte Piciat al tramonto.
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Casera Giaf.

 

 

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